Cara Giulia. La forza delle idee di Gino Cecchettin

La prima cosa che sorprende del libro Cara Giulia è il poco tempo che è intercorso tra la morte atroce di Giulia e la prima edizione del libro scritto da Gino Cecchettin, padre di Giulia, con l’aiuto di Marco Franzoso.
Ma a pensarci la cosa ha una sua spiegazione. Un uomo che aveva perso la moglie da non molto tempo, perde anche l’amata figlia, vittima della brutale aggressione del suo ex fidanzato. Sente allora il forte bisogno di scrivere una lunga lettera, per cercare di capire e di fissare per sempre i ricordi. Questi ultimi, come è noto, con il tempo sbiadiscono e subiscono trasformazioni.
Gino Cecchettin che ha altri due figli, decide allora che “i figli non devono venire schiacciati dal dolore di un genitore … Sentire di avere alle spalle un padre solido e combattivo restituisce solidità anche a loro…”.

Un’altra cosa che sorprende di questo padre è che si dichiara non credente. “Per me – è impossibile perdonare”; e aggiunge “Ho deciso di ignorare chi ci ha inflitto questo grande dolore”.
Gino Cecchettin non dimentica in questi frangenti coloro che hanno attaccato l’altra figlia Elena e lui stesso, ma ha la forza di credere che “possiamo ricostruire una cultura della riconciliazione”.
Quanto a Giulia, la figlia così brutalmente sottratta, ricorda che era timida e che non ha mai fatto niente per farsi apprezzare eppure la sua discrezione aveva fatto breccia in chi l’aveva conosciuta. Ricordava che non aveva mai avuto bisogno di farsi aiutare in nessuna disciplina scolastica. Lei leggeva e capiva.
A un certo punto delle sue riflessioni, Gino Cecchettin fa un’ammissione: “Ho sbagliato a lavorare così tanto e a ritagliarmi solo quei momenti di sera con voi”. Dopo averne parlato con la moglie, allora ancora presente, decide di cambiare lavoro per avere più tempo di stare coi figli.

Più avanti, riflettendo sulla scomparsa della moglie e sul fatto che con i figli per la prima volta la ricordano sorridendo, arriva a una considerazione “l’elaborazione del lutto si conclude quando pensi al defunto e sorridi”.
Si sofferma anche a toccare il tema della disparità fra i generi per proporre infine una cultura della riconciliazione.
Se è vero che non parla dell’ex fidanzato della figlia e della sua patologica ossessione, descrive comunque l’uomo violento: che per lui non è altro che un uomo talmente fragile da interpretare un rifiuto come un attacco alla propria individualità. La violenza sulle donne, conclude, è sempre frutto della fragilità dell’uomo.
Riflettendo sull’educazione a sua volta ricevuta dal padre, si chiede se sia possibile migliorare il mondo. Considerando che siamo noi il mondo, conclude che è possibile.
Trova persino motivo di consolazione nel ricordare che Giulia, per tutti noi familiari, resterà sempre una ragazza, senza invecchiare mai.
Gino deve preparare il testo da leggere in chiesa il giorno del funerale di Giulia; ripensando alla figlia dice che la semplicità e il candore bucano gli animi.
Infine l’Università di Padova lo invita per il conferimento postumo della laurea a Giulia che aveva compiuto l’intero iter. Nel suo discorso Gino Cecchettin invita a stare più vicino ai ragazzi e far sentire loro che ci siamo come genitori. Sottolineando che non saremo mai loro amici, ma che dobbiamo rimanere i loro educatori.

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