Educazione preziosa. Due mesi in Myanmar (ex Birmania)
Sotto la pioggia, tra paura e speranza. Mi si è stretto il cuore.
di Birmano
Quando l’aereo è atterrato a Yangon, due mesi fa, avevo il cuore in festa. Dopo quattro anni di studio a Torino, tornavo finalmente a casa, in Myanmar (ex-Birmania). Sognavo di rivedere il mio villaggio, la mia famiglia, gli amici di infanzia. Non immaginavo però quanto questa visita mi avrebbe segnato nel profondo.

La situazione in Myanmar oggi è drammatica. Alcuni miei amici non ci sono più in questo mondo. Il mio villaggio non era più lo stesso. I soldati lo avevano occupato. La gente viveva nella paura. Raccontava la mia mamma con tristezza che una mattina le hanno detto che dovevano andarsene: “Lasciate le case, lasciate tutto, è troppo pericoloso restare qua.” Ho immaginato mia madre piangere mentre chiudeva la porta di casa, come se stesse salutando per sempre i ricordi di una vita. Hanno camminato per ore, alcuni anziani e bambini con trattori, per rifugiarsi nel villaggio di alcuni parenti, portando con loro solo poche borse con alcuni documenti importanti. Si sono sistemati sotto le tende temporanee, semplici tettoie fatte di teloni di plastica e bambù che non proteggono bene né dal caldo né dalla pioggia. La pioggia scendeva forte e il fango arrivava fino alle caviglie. La notte era difficile dormire: si sentivano spari lontani, i bambini piangevano, gli anziani tossivano per il freddo.

La cosa più dura da vedere sono i bambini. Ho visto un gruppo di ragazzi seduti per terra, con i quaderni bagnati, mentre una maestra cercava di spiegare la lezione gridando per farsi sentire sopra il rumore della pioggia. Questa immagine mi ha fatto pensare a quanto sia preziosa l’educazione. Mi si è stretto il cuore. Ho pensato alle aule belle e pulite che avevo conosciuto in Italia, e mi sono sentito piccolo, quasi in colpa per tutto quello che io avevo e loro invece no.
Come se non bastasse la guerra, è arrivato anche un terremoto a marzo scorso. Ricordano il boato, le case che tremavano, la gente che urlava e correva fuori. Alcuni edifici sono crollati. Le strade erano piene di macerie. Durante la mia permanenza, ho esperimentato tre scosse di terremoto. In quel momento mi sono sentito piccolo e impotente davanti alla forza della natura.

Il giorno della partenza per tornare in Italia è stato un’altra sfida. All’aeroporto mi hanno fatto mille domande per avere il timbro sul passaporto. Ci sono riuscito, ma nel cuore sentivo un peso: stavo lasciando la mia gente indietro, sotto le tende, sotto la pioggia, in mezzo alla guerra.
Ora che sono di nuovo a Torino, le immagini di quei due mesi mi tornano ogni giorno nella mente. Gli occhi dei bambini, i villaggi vuoti, le case distrutte, la fede semplice della mia gente che continua a pregare e a sperare anche nel dolore.
È stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi. Da un lato, sono felice di aver potuto riabbracciare la mia gente, di aver pregato con loro, condiviso il poco cibo, le speranze e le paure. Dall’altro, il cuore mi fa male nel vedere il mio popolo costretto a vivere in questo modo.

Sono tornato con un compito: raccontare quello che ho visto. Non posso tacere. Sono un giovane seminarista, e il mio cuore è chiamato a portare speranza. Racconto questa storia per dare voce a chi non può parlare, per ricordare a tutti che il Myanmar (ex-Birmania) esiste, che soffre, ma che continua a sperare. Il Myanmar ha bisogno di pace, di dialogo, di giustizia. Ha bisogno di aiuto umanitario, di scuole, di persone che non dimentichino ciò che accade laggiù. Io porterò con me il ricordo di quei bambini che, sotto un telo di plastica, sognano ancora un futuro migliore. È per loro che voglio essere un raggio che brilla o una persona che porta speranza dove c’è disperazione.

2 risposte a “Educazione preziosa. Due mesi in Myanmar (ex Birmania)”
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Come posso esprimermi? Diversamente? Al contrario? Tacere? No. DEVO esprimermi: il Myanmar (ex-Birmania) non è di moda come la Palestina e l’Ucraina. Lì il genocidio è prassi, solo che non ci sono ebrei e palestinesi, ucraini e russi …
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