ArticoliGlocaliLa Scuola

Francesco Luigi Ferrari. L’esperienza nel partito popolare italiano

di Renzo Gherardi

Secondo appuntamento per ricordare Francesco Luigi Ferrari il 90° anniversario della sua morte.

Nel marzo del 1919 Ferrari tornò a Modena dove trovò che nel movimento cattolico il controllo era stato assunto dalla “vecchia guardia” che aveva approfittato della lontananza dei giovani. Era stato fondato intanto il Partito popolare italiano (Ppi) attraverso l’appello don Luigi Sturzo ai “liberi e forti”. Per Ferrari il nuovo soggetto politico dei cattolici si coniugava all’attività sindacale che lui concepiva come un’organizzazione “di classe secondo i principi cristiani”. Questa impostazione fu contrastata dagli esponenti più conservatori del movimento cattolico che avevano la propria voce a Modena sul foglio “La Squilla”, riferimento dell’ala destra del partito a livello nazionale. In ogni caso il Ppi alla fine dell’estate del ’19 contava in provincia 27 sezioni con circa mille iscritti. Il 17 settembre del 1919 Ferrari sposò Lina Filbier a Trieste, mentre l’anno successivo nacque il primogenito.

Ripresa l’attività in Consiglio comunale Ferrari propose un ordine del giorno che chiedeva la costituzione di spacci cooperativi con prezzi calmierati per assicurare generi di prima necessità ai più bisognosi. La proposta fu respinta dalla stessa maggioranza clerico-moderata, ma non fermò l’azione di Ferrari che lontano da suggestioni rivoluzionarie credeva nel metodo delle successive riforme. Inoltre rifiutava l’ipotesi di stringere alleanze con i liberali. Dopo l’introduzione del metodo proporzionale si impegnò per il rinnovo della camera dei deputati che vide il Ppi raggiungere in provincia il 17,7% dei consensi. Il 14 settembre 1920 subì un’aggressione da parte dei socialisti.

Ferrari tuttavia continuò in particolare a sostenere l’estensione della piccola proprietà contadina. Nell’autunno del 1920 alle elezioni amministrative Ferrari fu eletto come consigliere provinciale.

Affacciatosi qualche tempo prima sulla scena politico-sociale dopo queste elezioni, lo squadrismo fascista diede l’assalto alle amministrazioni “rosse” appena elette e alle sedi del movimento socialista locale, tanto che nell’estate del 1921 l’intera organizzazione era smantellata. La furia fascista dopo i socialisti si riversò verso i cattolici, i quali tentarono di raccogliere l’eredità socialista tra le masse attraverso nuove leghe sindacali.

Ferrari si adoperò nel periodo per dare forma più compiuta all’ala sinistra del Ppi.

Nel Congresso di Venezia del 1921 Ferrari chiese di escludere la collaborazione con i fascisti e agrari nazionalisti e vide alcune sue proposte accolte dall’intesa tra la tendenza della sinistra e la maggioranza sturziana. Ferrari cogliendo la drammaticità del momento per quanto riguardava il governo nazionale, precisò “Questo è il momento nostro. La logica delle cose ci impone questo dilemma: o passare all’opposizione, o assumere la direzione del governo”. Di fronte all’opposizione di quanti nel partito rifiutavano la collaborazione col Psi, Ferrari chiese la convocazione di un Congresso straordinario. Tuttavia la marcia su Roma dei fascisti del 28 ottobre del ’22 e dell’incarico del re a Mussolini a formare il Governo, ruppe ogni incertezza.

Ferrari con alcuni amici della “tendenza di sinistra” fondò allora a Milano “Il Domani d’Italia”, proprio il giorno della marcia su Roma. Il giornale fin dal primo numero chiese l’uscita dal Governo del Ppi. Fu proprio Ferrari nel Congresso del Ppi di Torino del ’23 a evidenziare “lo stato di incostituzionalità in cui l’Italia e(ra) stata messa dal fascismo”. Nel ribadire poi la rottura della collaborazione governativa affermò che “sia meglio morire liberi che vivere schiavi”. Venne così respinta la proposta della destra del partito di un appoggio incondizionato all’esecutivo. Pochi giorni dopo Ferrari fu vittima di un’aggressione fascista in pieno centro a Modena.

La famiglia di Francesco Luigi Ferrari nel 1922

Il fascismo intanto nel 1923 promulgò col ministro Gentile la riforma della scuola e rendeva obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nel ciclo primario.

Ferrari commentò sul giornale della sinistra popolare che il fascismo voleva costruire una “Chiesa nazionale”. In seguito alle dimissioni di don Sturzo, fondatore del partito, anche per spinte vaticane dovute alle pressioni di Mussolini, Ferrari scrisse alla moglie “Non soltanto agli uomini si vuol comandare ma anche al vicario di Cristo in terra!”.

Ferrari arrivò a ritirarsi dal partito di fronte alla scelta di presentare la lista alle elezioni.

I fascisti vinsero le elezioni del ’24 grazie al clima di violenza insieme ai brogli perpetrati, denunciati in parlamento da Giacomo Matteotti, il cui rapimento indusse le opposizioni a ritirarsi sull’Aventino. Ferrari chiese allora, dato il difficile momento, un’alleanza tra cattolici e socialisti per salvare la democrazia. Contro tale ipotesi prese posizione il mondo cattolico “ufficiale”. Ferrari allora chiese la convocazione di un congresso, ma la richiesta fu lasciata cadere. Cessò anche la pubblicazione del giornale della sinistra popolare locale e a don Sturzo fu consigliato di lasciare l’Italia. Giacomo Matteotti fu rinvenuto cadavere nell’estate del ’24 e del suo omicidio Mussolini si assunse la responsabilità morale. Agli inizi del ’25 Mussolini fece approvare le leggi “fascistissime” e mise al bando tutti i partiti salvo quello fascista, portando così il paese alla dittatura. Il Ppi celebrò il suo ultimo congresso nel giugno del ’25 presieduto dal segretario De Gasperi. Nel suo intervento Ferrari si richiamò alla necessità di operare il collegamento tra “la piccola borghesia” e “le masse proletarie”. Aprì inoltre all’ipotesi repubblicana in nome della democrazia e dopo che il re aveva lasciato campo libero a Mussolini.

Per Ferrari gli ultimi tre anni videro la morte di tre figli ma nonostante ciò non mancò il suo impegno. Nel novembre del 1926 lo studio a Modena di Ferrari fu saccheggiato dai fascisti e la sua abitazione a Formigine subì un assalto, sventato solo per l’intervento della popolazione locale.

La sera stessa, consigliato dagli amici di non esporre ulteriormente la famiglia, lasciò l’Italia, il giorno prima che il governo annullasse i passaporti, per impedire agli antifascisti di espatriare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *