ArticoliGlocali

Quel che non scrisse nonno Telesforo

di Mario Orlandi

Da EroStraniero n. 16 – Dicembre 2016

Nel numero precedente di EROSTRANIERO IL GIORNALE ho riassunto le drammatiche vicende della seconda guerra mondiale, che mio nonno Telesforo ci ha tramandato in un diario.

Ma ci sono due cose importanti che il nonno non poteva scrivere e che non scrisse ma che mi raccontò più volte a voce e che vale la pena di ricordare.

Era obbiettore di coscienza e, come tale, non sparò mai un colpo di fucile contro i nemici, quei nemici che, con le parole di De Andrè, “avevano lo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”. Non poteva scriverlo perché l’obbiezione di coscienza non era riconosciuta e veniva trattata alla stregua dell’alto tradimento e perciò passibile di condanna. Durante la guerra, furono circa 470.000 i processi per renitenza alla leva, e oltre un milione per altri reati militari come diserzione, procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento.

Era forse un destino che questa sua volontà di non uccidere nessuno dei suoi simili venisse un giorno ricompensata. Durante una battaglia, si ritrovò, disperso e senza fucile, a correre lungo una trincea abbandonata, quando, improvvisamente, vide sbucare dalla parte opposta un austriaco col fucile e la baionetta innestata. Per un attimo lunghissimo, Telesforo si vide morto e allargò istintivamente le braccia. A questo punto, l’altro militare, abbassò il fucile e, avvicinatosi al nonno, gli diede una pacca sulla spalla dicendogli: ”Bono taliano”. Si guardarono un attimo in silenzio esprimendo in quel silenzio tutto il loro comune sconcerto per essere obbligati ad odiarsi senza che ci fosse un motivo reale per odiarsi. Non si odiavano e ciascuno proseguì per il suo cammino.

Telesforo Solieri, 1889-1983

Questo, sicuramente, non fu l’unico episodio della guerra in cui i nemici fraternizzarono. Molto noto è quello della tregua di Natale del 1914 sul fronte franco tedesco quando, nella settimana precedente il Natale, membri delle truppe schierate sui lati opposti del fronte presero a scambiarsi auguri e canzoni dalle rispettive trincee, e occasionalmente singoli individui attraversarono le linee per portare doni ai soldati schierati dall’altro lato; nel corso della vigilia di Natale e del giorno stesso di Natale, un gran numero di soldati provenienti da unità tedesche e britanniche (nonché, in misura minore, da unità francesi) lasciarono spontaneamente le trincee per incontrarsi nella terra di nessuno per fraternizzare, scambiarsi cibo e souvenir. Oltre a celebrare comuni cerimonie religiose e di sepoltura dei caduti, i soldati dei due schieramenti intrattennero rapporti amichevoli tra di loro al punto di organizzare improvvisate partite di calcio. Era ovvio che questo fraternizzare non andasse a genio agli alti comandi militari che fecero di tutto, gravi punizioni comprese, per scongiurare il ripetersi di tali episodi.

Ma torniamo al tema fondamentale dell’obbiezione di coscienza il cui cammino non è stato per nulla facile. Dovevano passare cinquant’anni perché, nella società, cominciassero ad alzarsi autorevoli voci anche in campo cattolico e in contraddizione alla presa di posizione ufficiale della chiesa, a favore della non violenza e dell’amore per il prossimo esteso anche al campo militare.

Un grande uomo e sacerdote che prese parte a questa disputa e per questo subì l’onta di una condanna fu Don Lorenzo Milani. Nel suo opuscolo dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù” in risposta a un gruppo di cappellani militari che definivano la cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ estranea al comandamento cristiano dell’amore, e espressione di viltà, Don Milani smonta la retorica patriottarda dello straniero nemico: “Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”. La parola Patria, insomma, “è stata usata male molte volte”, come “una scusa per essere dispensati dal pensare” e “dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti”.

La classe politica, messa alle corde dal vasto movimento d’opinione nato nella società soprattutto nel 1968, e dal contemporaneo intensificarsi di azioni di protesta condotte dalle organizzazioni non violente, approvò, pur sotto l’influenza delle gerarchie militari e delle forze politiche contrarie, la legge 15 dicembre 1972, n. 772 che dava il diritto all’obiezione e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici. Con questa legge l’obiezione di coscienza non veniva ancora considerata un diritto, ma un beneficio concesso dallo Stato a precise condizioni e conseguenze: la gestione del servizio civile restava nelle mani del Ministero della Difesa.

Dopo una serie di altri tentativi falliti nel corso della XI e XII Legislatura, nel luglio del 1998 si giunge finalmente all’approvazione della legge 230 che sancisce il pieno riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Con questa ultima legge l’obiezione di coscienza non è più un beneficio concesso dallo Stato, ma diventa un diritto della persona: il Servizio Civile rappresenta un modo alternativo di “servire la patria”, con una durata pari al servizio militare, a contatto con la realtà sociale, con i suoi problemi, con le sue sfide.

La conclusione della storia giunge nel 2000 con la legge n. 331 che muta profondamente la natura del Servizio di leva diventato volontario e professionale. A partire dal 2007 l’obbiezione di coscienza non ha più ragione di essere.

Il nonno Telesforo avrebbe avuto di che gioire se fosse stato ancora di questo mondo, ma era morto da ventiquattro anni.

Stellina Bellentani in Solieri con le figlie Derna e Trieste

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *