ArticoliGlocaliLa Piazza

L’immigrazione meridionale a Carpi. Gli anni del boom economico

di Renzo Gherardi

Da Erostraniero n. 20 – Novembre 2019

Carpi nell’immediato dopoguerra passò in pochi anni da zona a prevalente attività agricola ad un rapidissimo processo di industrializzazione.

Va anche ricordato che per secoli l’industria del truciolo era diffusa a Carpi e nelle zone limitrofe e il suo impianto organizzativo costituirà, almeno inizialmente, la base per il passaggio all’industria della maglieria. Gli anni del “miracolo economico” fecero di Carpi un caso che ebbe eco in tutta Italia, attirando l’attenzione dei giornali nazionali.

Nel anni ‘60 gli addetti della Frarica erano 800 senza contare le camiciaie a domicilio. Negli stessi anni erano 400 quelli della Carma. Va ricordata anche la Silan che alla fine degli anni ’60 era una delle maggiori fabbriche tessili italiane con oltre 1.000 dipendenti.

Oltre a numerose fabbriche nacque un indotto che richiese manodopera, soprattutto femminile.

Alla macchina del puntino (le puntiniste), magliaie

Sorse il problema di reperire nuova manodopera che all’inizio fu soddisfatto con l’inurbamento della popolazione delle campagne e delle località limitrofe.

Dal ’58 e sino al ’63 in coincidenza con il boom economico, prende consistenza un‘immigrazione dal centro e dal sud dell’Italia. Carpi dal 1958 al 1977 aumentò la propria popolazione di 21.918 unità arrivando a 59.153 abitanti.

Nel 1962 il periodico Tuttocarpi, fondato quello stesso anno da Renato Crotti, pubblicò un servizio di approfondimento sul fenomeno immigratorio dal titolo “Carpi, terra promessa per la gente del Sud. Un giorno tra i cinquemila immigrati di casa nostra”.

Dice una donna immigrata al giornalista: “Al Sud le ragazze erano impiegate in un calzettificio (a Matera) e la retribuzione individuale oscillava su parametri da fame. Adesso lavorava meno e guadagnava di più, non tornerebbe al Sud per tutto l’oro del mondo.”

I nuovi arrivati per cercare un lavoro, oltre che ai parenti o conoscenti si rivolgono al collocamento o in qualche caso ai parroci. Vi sono fabbriche che arrivano ad occupare a Carpi l’80% di donne immigrate dal Sud. Tuttocarpi però sottolinea anche che l’integrazione sociale non è affatto facile.

Per i nuovi immigrati dal Sud la scelta di un sindacato o l’iscrizione a un partito è un problema per lo più sconosciuto, ma il bisogno di amicizie e di solidarietà li fa spesso optare per le scelte da noi più diffuse.

Le ragazze immigrate trovano numerosi problemi: non tutte si adattano facilmente ai ritmi della fabbrica e alcune cambiano con facilità. Scatta inoltre una specie di complesso di inferiorità e l’educazione tradizionale ricevuta si scontra con la mentalità delle donne di Carpi. Le meridionali non vogliono mostrarsi diverse dalle carpigiane, rinunciano al loro dialetto e al loro modo di vestirsi. L’articolo rileva anche che i carpigiani sono diffidenti con i meridionali e utilizzano stereotipi. Li chiamano “marocchini” e temono che gli portino via il lavoro.

Veduta dall’alto della nuova Camiceria FRARICA

Il primo problema per i nuovi arrivati era la ricerca dell‘abitazione.

Per far fronte all’emergenza abitativa il Comune individuò aree fabbricabili vicine al centro urbano che furono acquistate nella prima metà degli anni ’50. Le aree vennero suddivise in tre parti: la prima al programma Ina-casa; la seconda finanziata dal Comune stesso per l’edilizia popolare; la terza fu venduta a lotti ai privati.

Fu poi adottato il Piano regolatore, approvato nel ’67 ed entrato in vigore nello stesso anno.

La fame di alloggi a volte costringe i nuovi immigrati ad accettare situazioni di degrado. Nel febbraio del 1978 a Carpi si consumò una tragedia. Le esalazioni di una stufa a metano causarono la morte di un quindicenne immigrato meridionale, mentre altri cinque suoi compagni dovettero essere ricoverati. Si scoprì poi che i sei occupati come muratori, dormivano in una soffitta di 20 metri quadri in un vecchio caseggiato del centro.

Il Consiglio comunale discute il caso e decide di attuare un’indagine, affidata al sociologo Ugo Morelli, che all’epoca collaborava con il Comprensorio Carpi-Correggio.

La ricerca prese in considerazione il ventennio precedente dell’immigrazione proveniente dal Sud e dalle isole. Risultarono rilevanti gli arrivi dalla provincia di Avellino (concentrati in una ventina di comuni dell’Irpinia). Le classi di età maggiormente rappresentate erano quelle comprese tra i 20 e i 40 anni con un basso titolo di studio.

Catena di lavorazione all’interno della Camiceria FRARICA

Il 73% degli immigrati arrivò con la famiglia o fu raggiunto poco dopo da essa. Tra i motivi dell’immigrazione risultarono la mancanza di lavoro, un migliore guadagno e il desiderio di migliorare comunque le condizioni di vita.

A Carpi risultavano occupati il 74% nell’industria manifatturiera, il 7% nell’edilizia.

Le periferie Nord e Sud di Carpi furono le zone più attrattive per tale immigrazione, mentre lo divenne il centro storico dal 1964 al ’78.

La ricerca mise in luce i problemi di sovraffollamento e una carenza di servizi igienici.

Quanto all’integrazione socio-culturale: il 75% degli immigrati meridionali pensava di rimanere a Carpi per sempre, mentre risulta bassa (37%) la frequenza di incontro con i conterranei.

Tra gli immigrati giunti tra il 1958 e il ’64, il 62% dichiara che “a Carpi si sta bene, uno lavora e non ci sono problemi”; il 78% pensa che “a Carpi c’è il lavoro anche se si è lontani da casa”; infine il 58% ritiene che “a Carpi uno ci rimane perché c’è il lavoro, altrimenti andrebbe via subito”.

Dalla ricerca emergono anche tra i carpigiani autoctoni pregiudizi etnici e la presenza di stereotipi come “Ormai ci sono più meridionali che carpigiani”; oppure “i meridionali non hanno voglia di lavorare”, o ancora “è meglio tenere una casa vuota che darla a un meridionale”.

La soddisfazione in merito al lavoro svolto risultò elevata per l’87,5% degli intervistati, anche se il 54,5% dichiara che i datori di lavoro “ne approfittano” in materia di retribuzione.

L’80% degli immigrati meridionali appartiene alla classe operaia, il 13,4% al ceto medio e solo l’1% alla piccola borghesia. Tali risposte erano determinate dal lavoro svolto, dal modo di vivere e dal reddito.

I risultati dell’indagine furono presentati ai gruppi politici e alle Associazioni di categoria il 30 maggio 1981.

1958, La pizzeria ” MARCELLO ” della famiglia Cantalupo. A Carpi, la prima.

Tuttavia negli anni successivi non risultarono agli Atti del Consiglio comunale delibere, discussioni o interrogazioni su questo tema. Nel 1982 il sindaco Cigarini nel presentare il Programma di interventi per Carpi, per il periodo 1982-’85, conferma che il flusso migratorio proviene ancora dal Sud. Assieme al lavoro e all’accesso ai servizi la gran parte degli immigrati è scolarizzato e l’integrazione appare completa e le condizioni socio-economiche discrete. Rimane il problema della casa.

Tra i contributi che portarono i meridionali a Carpi va segnalata la pizza. Prima di allora era sconosciuta nella cucina nostrana. Fin dal 1958 sorse la pizzeria Marcello, della famiglia Cantalupo presso la torre dell’acquedotto.

Infine una traccia significativa dell’integrazione avvenuta è rappresentata dai nomi meridionali.

Basta scorrere l’elenco telefonico per incorrere in numerosi Salvatore, Carmelo, e Gennaro e di altrettante Filomena, Concetta e Assunta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *