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“Spera”, l’autobiografia di Papa Francesco

di Mario Orlandi

Papa Francesco ci ha lasciato, ma di lui ci resterà un ricordo indelebile: per la sua grandissima umanità, per la sua umiltà, per il suo approcciarsi al prossimo da amico, per il suo modo di vivere da povero cristiano a Santa Marta in compagnia di normali prelati e ospiti laici del Vaticano , lontano, per quanto possibile, dagli onori della cronaca, per il suo primo contatto coi fedeli, quando, appena eletto, affacciandosi alla finestra su piazza San Pietro, li salutò con un semplice :”Buonasera”.

Ma prima di andarsene ci ha fatto regalo di questo bellissimo libro “SPERA” in cui racconta la sua vita ed espone i suoi principi dei quali vale la pena qui, di riportare almeno qualche frammento significativo.

Alla prima pagina ce n’è uno che pare la sintesi della vita di tutti noi: “La memoria è un presente che non finisce mai di passare” e questa memoria parte per lui, dal giorno in cui i suoi nonni piemontesi partirono da Genova il 1° Febbraio 1929 per il Brasile dove, a Buenos Aires, li aspettava il fratello del nonno che vi si era trasferito nel 1922 facendo dapprima umilissimi lavori ma salendo poi alcuni gradini della scala sociale.

Papa Francesco in visita a Carpi, 2 Aprile 2017

Ma come figlio di emigranti Francesco non ha mai smesso, sia durante la sua vita di parroco che durante quella di Papa, di pensare a tutti i migranti del mondo. Per questo il suo primo viaggio da Pontefice fuori dal Vaticano è stata l’isola di Lampedusa, diventata l’avamposto di speranza e solidarietà, ma anche il simbolo della contraddizioni e della tragedia delle migrazioni di fronte alle quali non può esistere né ostilità né , tanto meno, indifferenza.

La più grande fabbrica di migranti è la guerra, compresa quella che l’uomo ha dichiarato alla natura producendo povertà, esclusi e scartati dal contesto civile mondiale. Come scriveva don Mazzolari :” il povero è una protesta continua contro le nostre ingiustizie; il povero è una polveriera”. Non c’è un prima per i cristiani se non: “Prima gli ultimi”. Don Lorenzo Milan, prete e maestro, grande rivoluzionario educatore, scriveva:” Abbiamo letto tutti i nostri libri per cercare una guerra giusta: non l’abbiamo trovata.” E Einstein aggiungeva.” Io stimo tanto l’umanità da essere persuaso che questo fantasma malefico della guerra sarebbe scomparso da tempo se il buon senso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto dagli speculatori del mondo politico ed economico”.

Dei suoi tanti ricordi della prima giovinezza, rammenta con tenerezza i pomeriggi passati con un panino a vedere e rivedere i film del neorealismo italiano, da De Sica a Rossellini a Visconti…e poi di Fellini con “La dolce vita” che fu attaccato aspramente da parti retrive e anche clericali…ma ogni epoca ha i suoi bigottismi (a chi gli domandava:” tu sei un bigotto?” rispondeva :” No, sono rimasto cristiano”)… e dicendo questo si rivolge soprattutto ai giovani perché sappiano e ricordino il passato dove si riesce bene a distinguere chi sta dalla parte della ragione e chi da quella del torto e si riesce a capire dove cominciano i populismi che fanno promesse fondate sulla paura e che sono poi l’inizio delle dittature. Solo chi costruisce ponti saprà andare avanti, chi costruisce muri rimarrà imprigionato nei muri che egli stesso ha innalzato. E comunque, scriveva Brecht :” Alla fine dell’inutile strage, tra i vinti faceva la fame la povera gente, tra i vincitori faceva la fame la povera gente”.

La nonna Rosa teneva conferenze alle proprie amicizie e conoscenze dicendo cose che non piacevano affatto al governo fascista col suo autoritarismo, con i metodi brutali degli squadristi, il culto della violenza e della guerra, le persecuzioni e le deportazioni, le devastazioni delle camere del lavoro e delle sedi dell’Azione Cattolica. Il grande maestro Arturo Toscanini venne aggredito per non aver voluto dirigere l’inno fascista. Papa Pio XI aveva aggiunto:” Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini anche se, purtroppo, anche la chiesa, qualche volta, se ne è dimenticata”.

Papa Francesco in visita a Carpi, 2 Aprile 2017

Purtroppo viviamo tempi in cui sembrano riprendere vita sentimenti che parevano superati: sospetti, timori, disprezzo, perfino odio nei confronti di individui giudicati diversi per la loro appartenenza etnica, nazionale o religiosa. Bisogna reagire con decisione a ogni mentalità di chiusura, di xenofobia, di ripiegamento su se stessi e non preoccuparsi se la gentilezza, la cura, la capacità di ringraziare vengono viste come segni di debolezza. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza, alla dignità della persona, alla giustizia sociale. E’ miope un mondo che guarda al futuro pensando solo ai profitti, avremo un presente rabbioso e avvelenato, ma non un domani, ci crederemo liberi e saremo schiavi. Dobbiamo guardare in profondità, laddove si trova ciò che ci unisce al di là della differenze e dobbiamo avere cura dei nostri legami, isolando le rigidità, i fondamentalismi, gli estremismi, la strumentalizzazione della ragione.

Bisogna cercare la felicità anche nelle piccole cose quotidiane come nel gioco del pallone dove si può esprimere la propria libertà vivendo il tempo dell’amatorialità, perché si può rincorrere un sogno anche senza diventare campioni per forza, anche camminando fra la gente in città o prendendo un autobus o la metropolitana. E bisogna praticare ogni attività sociale combattendo l’incultura dello scarto e del pregiudizio: abbracciare la cultura dell’incontro. Vinicius De Moraes scriveva :” la vita, amico, è l’arte dell’incontro, anche se ci sono tanti disaccordi”. E bisogna saper perdere perché saper perdere è saggezza.

La musica, tutta la musica: ecco una passione di Francesco, un fiore coltivato fin dalla prima giovinezza con la musica classica e lirica, e poi quella leggera quando in Argentina spopolavano le canzoni di Mina, Milva, Edith Piaf e quel tango che sempre ha affascinato l’Argentina e poi il mondo intero.

Nel 1949 viene mandato nel collegio Salesiano di Wilfrid Baron dove impara da padre Duarte, una cultura cattolica per niente bigotta né disorientata, ma umana, sociale, ludica e artistica, dove i valori della convivenza e il riferimento ai più bisognosi erano il dettato quotidiano. Qualche anno dopo, nel 1953, il giorno di San Matteo, precisamente il 21 settembre, il sacerdote gli parla della “Vocazione di San Matteo” che lo colpisce profondamente tanto che, durante la messa sente la necessità di confessarsi ,ed è in questa occasione che percepisce intensamente quanto improvvisamente, la consapevolezza che sarebbe diventato sacerdote, consapevolezza che si consolida mano che il tempo passa. Gli studi continuano comunque sotto la guida di Esther Ballestrino, paraguaiana, che, nel suo paese, era stata ricercatrice biomedica, ma anche e soprattutto, impegnata politicamente nel campo socialista e per questo perseguitata durante la dittatura di Moringo e costretta ad emigrare in Argentina. Esther stava sempre dalla parte dei poveri e degli emarginati: i lebbrosi, le vedove, gli orfani. Qualche anno più tardi Francesco comincia a interessarsi alla politica e ad avere simpatia per le riforme sociali di Juan Domingo Peron (e di Evita) nelle quali è facile ritrovare, ancora oggi, un legame con la dottrina sociale della Chiesa perché lottavano contro ogni forma di ingiustizia e contro la cultura dell’indifferenza. Va da sé che Francesco non poteva che avversare gli atti inumani e le persecuzioni dei dittatori fascisti andati al governo con un colpo di stato militare e diventati subito spietati nei confronti degli oppositori e dei dissenzienti. E Francesco pianse come avrebbero pianto poi le madri di Plaza De Mayo per quei trentamila “desaparesidos” torturati e gettati a mare (Tra di essi c’era Esther). E queste mamme dicono spesso:” Dov’era in quel momento la Chiesa?” In quegli anni di tenebra non mancarono purtroppo le colpe della Chiesa anche se furono tantissimi i sacerdoti contrari a questa politica del regime che subirono la stessa sorte degli altri oppositori. Tra questi Don Angelelli che predicava:” Un orecchio per ascoltare la parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo. Non voglio la rassegnazione perché nostro Signore non vuole uomini e donne rassegnati”. Fu assassinato con due colpi di pistola mentre usciva da messa. Al matrimonio della zio, Francesco viene colpito dalla bellezza e dalla luce intellettuale di una ragazza e il pensiero assillante di lei lo pone di fronte al grave dilemma se continuare o no il cammino religioso intrapreso. Riflettendoci su a posteriori Francesco capisce che si è trattato di “una cosa normale”, anzi sarebbe stato anormale se non fosse passato per questa esperienza. Ma non è stato questo il solo intralcio sul suo cammino religioso, c’è stata anche una grave malattia polmonare a causa della quale è stato sottoposto ad un complesso intervento chirurgico cui è seguita una lunga convalescenza sulle colline di Tandil. Nel marzo del 1960 è pronto per prendere i voti di povertà, castità e obbedienza e subito dopo, viene mandato in Cile per la sua prima missione di “giuniorato” e lì resterà per dodici mesi a occuparsi dei ragazzi che erano così poveri da non possedere neppure un paia di scarpe. Erano gli anni del Concilio Vaticano II° e anche in Argentina si camminava su quelle tensioni e quelle speranze tra teologi dogmatici che cercavano di aprire le menti al nuovo spirito mentre la morale era ancora quella decadente che non trovava modo di aggiornarsi ai tempi. Ed era pure tempo di guerra nel Vietnam. Il 13 Dicembre 1969, in un pomeriggio di sabato, è ordinato sacerdote, e la mattina seguente, prende l’autobus per Buenos Aires e qui celebra la prima messa cominciando ad entrare in sintonia con l’anima del popolo che è un antidoto a ogni forma di populismo settario. Ed è in questa fase che comincia a capire quanto sia astruso il principio secondo il quale le donne vengono escluse dalla chiesa officiante, come se Maria non avesse partecipato alla vita di Cristo e preferisce una Chiesa accidentata, sporca, per essere uscita per le strade piuttosto che una Chiesa asfittica, malata di chiusura in se stessa.

Papa Francesco in visita a Carpi, 2 Aprile 2017

Nel corso dell’esistenza, Francesco ha avuto anche momenti di crisi, di vuoto, di peccato, di mondanità, ma è sopravvissuto e ha continuato nel suo cammino che è giunto alla sua conclusione quando si è presentato al conclave per l’elezione del 266° successore di Pietro con la valigia e il biglietto già pronti per tornarsene a casa. Ma il 13 Marzo 2013 al conclave è stato eletto pontefice e lui ha scelto il nome di Francesco. Nome questo che induce a una riflessione: mai prima d’ora nessun Papa aveva scelto il nome del poverello di Assisi patrono d’Italia: questa scelta è stata di per sé tutto un programma. “ Non dimenticarti dei poveri “ gli ha sussurrato all’orecchio il cardinale Hummes. Forse non ce n’era bisogno: i poveri Francesco li ha sempre tenuti presenti. Al momento di tornare l’aspettava una limousine lunghissima e riccamente arredata per condurlo in Vaticano ma lui ha fatto una scelta in linea coi suoi principi: ha preso il pulmino con gli altri cardinali ed è tornato a Santa Marta. Ma ora “E’ dentro alla Chiesa ” e deve affrontare e risolvere i problemi che stanno dentro di essa, deve sciogliere le chiusure totali verso le famiglie irregolari, gli omosessuali, i transessuali, i separati, quelli di altre confessioni religiose, e lo fa perché comprende la complessità dell’esistenza e la necessità cristiana di accogliere tutti, anche quei tanti che commettono peccati sessuali che sono i peccati meno gravi rispetto ad altri ben peggiori: la superbia, l’odio, la menzogna, la truffa, la sopraffazione. Perché tutti nella chiesa sono invitati e perché tutti sono figli di Dio, non figli di un Dio minore. Ci sono molte resistenze a superare l’immagine di una Chiesa rigidamente distinta tra capi e subalterni, tra chi insegna e chi deve imparare dimenticando che a Dio piace ribaltare le posizioni. “ Ha rovesciato i potenti dai troni, ha ribaltato le posizioni”.

Con le altre confessioni religiose di Buenos Aires Francesco ha pianto la terribile notte della dittatura che ha funestato l’Argentina con le torture, le deportazioni e le uccisioni dei democratici e degli oppositori, ha pianto per le vittime della pandemia, per la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi a discapito di molti. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, ma una sola complessa crisi socio-ambientale. Bisogna restituire la dignità agli esclusi , combattere la povertà e lo sfruttamento.

A proposito dell’inverno demografico in Italia i sociologi affermano che fra qualche anno dovremo importare mano d’opera dall’estero per sostenere la produttività e la demografia del nostro paese oltre che per lavorare e pagare le tasse, ma si continua a vivere insensatamente l’emigrazione come un’invasione. E’ essenziale che la gente possa vivere e lavorare nel proprio paese d’origine ma è altrettanto necessario che quando questo non è possibile, si agevoli, disciplinandola, l’emigrazione. Quando si respingono i poveri si respinge la pace: vanno combattute le cause, non le povere persone che ne pagano le conseguenze.

Diceva Cechov che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. E l’esempio eclatante è che il numero dei morti ammazzati è proporzionale al numero delle armi da fuoco circolanti: nei paesi in cui questo accade, non passa giorno che qualcuno venga ucciso.

Francesco ha ereditato dalla mamma l’amore per la lirica, Bellini, Verdi, Puccini nel cui capolavoro “Turandot” c’è un passaggio in cui si fa riferimento alla speranza “che ogni notte nasce e ogni giorno muore e che per questo delude sempre”. Teresa di Calcutta scriveva: “Il giorno più bello: ”Oggi” – L’ostacolo più grande :”La paura”- La cosa più facile: “sbagliarsi” – L’errore più grande? :”Rinunciare”. Ma una virtù fondamentale è l’autoironia, ridere dei propri pensieri forse seri o forse no. “Se vuoi fare in modo che si rida di te domani fallo tu stesso oggi”. E l’altra è incontrare i bambini e subito dopo i vecchi che spesso sono come i bambini che vanno educati abituandoli alle domande che vanno lasciate vivere e fatte camminare. Chi ha paura delle domande è perché ha paura delle risposte e questo è proprio delle autocrazie e delle dittature. E oltre ai bambini e i vecchi, bisogna ascoltare i giovani e chiedere loro perdono per non aver ascoltato i loro bisogni più autentici, per non averli presi sul serio, per non averli saputi entusiasmare.

Oltre tre miliardi di persone vivono in regioni altamente sensibili alle devastazioni del cambiamento climatico e sono per questo spinte alla migrazione forzata, a rischiare di perdere la vita in viaggi disperati. Abbiamo saccheggiato , contaminato, sfruttato senza ritegno le risorse naturali, fino a minare la nostra vita stessa e quella dei nostri fratelli e sorelle. Ora dobbiamo subordinare l’interesse di pochi al diritto di tutti, a beneficio delle generazioni presenti e future. Non c’è domani se distruggiamo l’ambiente che ci sostiene.

E nel contempo la rete si sta rivelando uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e al contempo pervasiva all’interno della famiglie in cui a tavola , invece di dialogare, ognuno è intento ad armeggiare col proprio telefonino. La democrazia non è un televoto, e non è neppure un supermercato. Dobbiamo tornare a sporcarci le mani e riappropiarci della nostra centralità riportando al centro l’uomo e non le merci dell’uomo. Aggrappati all’ancora della speranza, potremmo dire, coi versi di Hikmet:” Il più bello dei mari è quello che non navigammo, il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto, i più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti, e quello che vorrei dirti di più , non te l’ho ancora detto”. E’ meglio essere cristiani senza dirlo che dirsi cristiani senza esserlo. La Chiesa deve crescere nella creatività , nella comprensione delle sfide della contemporaneità, aprirsi al dialogo, non chiudersi nel timore. Una Chiesa chiusa è una Chiesa morta.

Ma il nostro sarà un futuro felice? Molti non ci credono e vanno presi sul serio pensando però che non dobbiamo chiuderci in noi stessi non abbandonando mai il nostro sogno di libertà e il desiderio di superare la paura che è l’origine di ogni forma di dittatura. Dobbiamo attuare la rivoluzione della tenerezza che non è debolezza ma è vera forza , è l’amore per l’altro, percorriamola, lottiamo con forza e coraggio.

Ripensando a tutta la vita e a tutte le parole di Papa Francesco e al grande uomo che è stato mi sovvengono i versi di Federico Garsia Lorca: tarderà molto a nascere, se nasce un uomo così…..

Papa Francesco in visita a Carpi, 2 Aprile 2017

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