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Fare strada coi ragazzi. Fragilità e violenza

Autorevole accoglienza in prossimità intergenerazionale

di Raffaele Facci

Prima di tutto, i giovani, bisogna ascoltarli – così Luigi Lamma in Notizie del 10 dicembre – condivisione di tempi, spazi ed esperienze dai quali possono poi scaturire risposte di senso ed opportunità di crescita”.

Meglio non aspettare il prossimo fatto eclatante, spesso provocatorio, che scuote per breve tempo. Per qualche giorno ne parlano tutti. Alcuni ragazzi, una azione violenta, grave. Un fatto eclatante appunto, anzi roboante. Le ragioni?

Qualche conto da saldare? Oppure si voleva attirar l’attenzione. In questo caso operazione riuscita, per qualche giorno.

Stranieri?

Essere italiano e pakistano è un dono che mi ha dato una prospettiva unica sulla vita. Attraverso la mia esperienza ho imparato che l’identità non è una scelta tra due mondi, ma piuttosto una celebrazione della ricchezza che entrambi offrono. Sono grato di chiamare l’Italia casa, portando con me il meglio delle mie radici pakistane e il cuore aperto a nuove esperienze”. Così un diciottenne, dei nostri ragazzi, venuto in Italia a tre anni.

Ma non sempre è così. A volte ragazzi e ragazze di famiglie straniere faticano a incarnare e proporre una sintesi bella coniugando le loro appartenenze. Per questo è importante il lavoro di tessitura che viene svolto nei nostri territori.

Non sto ad elencare realtà attive tra di noi, i volontari impegnati, le istituzioni. Proprio in questi giorni si è insediata la nuova Consulta Integrazione delle Terre d’Argine. In particolare la Commissione Scuola Giovani e Famiglie è di nuovo al lavoro. Per raggiungere giovani ed adulti di origine straniera ed essere mediatori e pontieri tra ragazzi, genitori e scuola.

Ricordo poi gli stranieri impegnati nelle realtà ecclesiali come nel dialogo ecumenico ed interreligioso. I sacerdoti, in particolare, provenienti da varie parti del mondo che fanno servizio nella nostra comunità ecclesiale.

Contro il disagio: ascoltare, ascoltarsi.

La noia… lei non la conosce. E’ brutta – mi dice un ragazzo e ripete – lei non la conosce…fa piangere”. Mi guarda in faccia compreso come ad implorare, poi cala gli occhi. In effetti, ha ragione, molto difficile che mi annoi. Stiamo in silenzio. Sediamo. Si rilassa. Ci rivediamo una oretta dopo in piazza. Camminiamo. La piazza di Carpi accoglie ed è tanto grande che, spesso, permette “privacy”,serena riservatezza, nel passeggiare.

E lui si racconta. Tutte le sue sventure, le sue colpe, anche gravi, ma, mi dice, con scarsa consapevolezza. Nessuno gli stava veramente accanto, anche a dirgli dei no. Così si ritrova solo. A scuola non lo vogliono più: bocciato due volte. Ora è in whatsapp con me. Non perderemo il contatto. Faremo cose assieme, anche con altri.

Gioco di squadra per la tessitura educativa. Giorno per giorno.

E’ sabato- Un gruppetto misto di due genitori due insegnanti, due ragazzi ed una ragazza girano in piazza, incontrano altri ragazzi, si soffermano e parlano. Poi si incamminano verso la stazione. Prendono il treno per Modena. Van su e giù per il treno. Si soffermano a parlare coi ragazzi e le ragazze che incontrano. Dopo una oretta, poco più, son di ritorno. Si incamminano verso la piazza. Ancora a misurare lo spazio tra il castello, il portico lungo, duomo, teatro, municipio. Si attardano con chi incontrano.

Gioco di squadra per la tessitura educativa, formativa…. Necessità della rete, di far rete…. Lo scambio di comunicazione tra le agenzie educative, le realtà della comunità territoriale, per fare comunità educante, appunto.

Una regia di tutto ciò perché, lo sappiamo: “E’ il villaggio che educa”. Il ragazzo, adolescente in uscita verso il futuro, mentre va alla avventura avventurosa della vita [spesso pieno di timori] auspica e cerca sostegno. Si guarda attorno, cerca riferimenti, possibilmente [ci auguriamo noi] oltre le indicazioni suadenti e interessate che trova nello smartphone o nel compagno furbo e scafato che lo adocchia. Nel gruppo dei “fratelli” con le loro gerarchie e i loro codici. La maggior parte continua in modo pervicace ad indicare la famiglia come realtà più importante nella vita anche quando ne sperimentano la precarietà. Noi, presi dalla corsa della vita, del quotidiano, poco riusciamo a soffermarci con loro. Siamo indaffarati a far tante cose.

A scuola e non solo forniamo tanti progetti vari e variegati, che hanno un inizio ed una fine e, in genere, non fanno relazioni e presenze continuative, punti di riferimento per ragazzi e ragazze in crescita. Sono parentesi, anche utili, ma non intessute in una promozione complessiva della persona con continuativa prossimità. Un percorso che possa cogliere lui/lei perché lui/lei possa cogliersi. Necessario soffermarsi insieme, ascoltare ed ascoltarsi. Far sì che, essendo ascoltato, si ascolti e si possa trovare. Trovare il suo talento. Poi, trovatolo lo coltiva, per se per gli altri.

Si vuole bene, vuole bene. In relazione con se stesso, con noi, con gli altri.

Comunicazione e relazione.

A scuola, nel passaggio dalla comunicazione personale alla comunicazione sociale. Dopo un incontro con lo studente, inviato dall’insegnante, ed un colloquio, si individua l’argomento su cui poter scrivere, con possibile canovaccio. Lo studente scrive. Secondo incontro. Si riflette e si considera quanto prodotto. Ultimo passaggio, poi il tutto passa all’insegnante di riferimento che corregge e attribuisce un voto. Infine se ne valuta la pubblicazione. Sia prima che dopo il giornale usato come strumento didattico.

Il passaggio dalla elaborazione personale alla condivisione e allo scambio sociale è uno dei passaggi utili per essere parte attiva di una costruzione collettiva condivisa. Anzitutto ci incontriamo per conoscere e per conoscerci: gli adulti come referenti per preadolescenti ed adolescenti. I ragazzi fiutano, ci fiutano: deve arrivare loro un riscontro di autenticità, nella autorevolezza.

Un lavoro che si distende nel tempo. Con continuità, previene. A scuola, per essere una tessitura efficace, comincia all’inizio dell’anno scolastico. Prima, per porre le basi.

Costruiamo le relazioni coi singoli e coi gruppi [come il gruppo-classe] in modo personalizzato.

Comunicare. Si, tanta comunicazione. Incontrandosi di persona, nel faccia a faccia. Poi farsi aiutare dallo smartphone, dai media, per tenere il filo. Una buona comunicazione, al servizio delle azioni. Che tra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare. Il valore della parola che dice il reale. Con semplicità, senza arrogante pompa.

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