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Seba Mat e il suo murale

Gli studenti della III R del liceo Fanti incontrano l’artista

Da EroStraniero n. 31 – Settembre 2022

Diversi edifici di Carpi sono decorati con rappresentazioni pittoriche definite murales.

Il termine “murale” deriva dal movimento artistico messicano noto come “muralismo”. Questa corrente artistica sbarcò in Italia all’inizio del ’900, seppur con finalità prettamente decorative; successivamente negli anni 20 del ’900, specialmente in Messico, i murales furono associati alla comunicazione di contenuti politici e ideologici, grazie alla loro grande visibilità.

Oggi i murales sono rappresentazioni pittoriche di scena, eseguite in luoghi aperti su muri o facciate di edifici, per lo più di ispirazione socio-popolare, spesso anche con intenti politici.

Nell’ambito di un progetto scolastico, noi alunni della III R del liceo Manfredo Fanti, ci siamo interessati alla storia del murale che Seba Mat, autore di diversi murales presenti a Carpi, ha realizzato sul muro della struttura protetta il “Carpine” . è stato il murale “Post fata resurgo”, situato di fronte all’ospedale di Carpi e simboleggiante la rinascita della società dopo la crisi da pandemia. Durante l’incontro, inoltre, abbiamo avuto modo di scoprire ciò che ha spinto l’artista a dedicarsi a questa forma d’arte, avendo anche l’occasione di rivolgergli alcune domande.

Seba Mat, ci ha raccontato di essere sempre stato vicino al mondo dell’arte; fin da piccolo trovava nel disegno una forma adeguata per esprimere il suo mondo interiore. Inizialmente rappresentava le sue idee su fogli bianchi, ma successivamente sentì la necessità di ampliare i suoi orizzonti artistici e chiese il consenso ai suoi genitori per poter utilizzare una parete del loro garage. Infatti, proprio su quella parete diede vita al suo primo murale, nel quale rappresentò una mano con in pugno una penna.

Dopo nove anni trascorsi all’estero in numerosi paesi, dove ha avuto modo di crescere dal punto di vista artistico e umano, Seba Mat ha deciso di tornare in Italia, precisamente a Carpi. Il primo murale che ha realizzato qui è conosciuto con il nome di “Don Chisciotte” e si trova sui muri di viale De Amicis.

Com’è nata l’idea di creare un murale sulla struttura del Carpine?

«Il lavoro sul muro del Carpine nasce in modo spontaneo perché venivo da un anno e mezzo di Covid, la pandemia aveva bloccato tutto. Mi sono ritrovato in una situazione in cui ero abbastanza “depresso” e volevo fare qualcosa che per una volta, dopo un anno e mezzo di inattività, fosse slegato dal solito modo in cui lavoravo. Il murale del Carpine è un’opera che

ho donato alla struttura. Tante volte noi giovani diciamo che non succede mai niente, che facciamo fatica a fare le cose e ci lamentiamo della mancanza di lavoro o della difficoltà a continuare a lavorare (com’è successo a causa della pandemia), ma questa volta ho pensato: “Sai cosa c’è”, voglio ritrovare il gusto di fare una cosa in modo spontaneo, come quando avevo vent’anni che prendevo il mio secchio e andavo nelle fabbriche. Nella struttura ci sono persone anziane, persone che necessitano di cure costanti ed è per questo che, a causa della pandemia, il Carpine ha dovuto affrontare una serie di nuove problematiche e quella era una storia molto complicata e interessante da raccontare. Ho preso il telefono, ho chiamato il direttore e gli ho esposto la mia volontà di creare un’opera per loro. Così ho scoperto la realtà e il lavoro di diverse associazioni di volontariato che lavorano sul territorio, realtà che neanche immaginavo esistessero e che mi hanno fatto scoprire quanto lavoro è stato fatto anche e soprattutto durante la pandemia. Mentre lavoravo ho visto figli salutare i genitori da dietro un vetro, infermieri che avevano responsabilità che noi che eravamo in casa non potevamo immaginare e molte altre cose che mi hanno toccato e spinto a dar vita a quel lavoro».

Come mai è stata scelta la fenice e il suo motto, post fata resurgo?

«La fenice ha un significato universale e avevamo bisogno di un simbolo che potesse rappresentare tutte le culture ed essere compreso da tutti, del resto è impossibile non riconoscerla data la sua presenza in tutte le culture. Essendo un animale che rinasce dalle sue ceneri, ho pensato subito che potesse esprimere in maniera adeguata il messaggio che volevamo trasmettere. La parte più personale, quella interpretata da me, è la rappresentazione delle mani all’interno delle quali si vede un fuoco e dei diavoli, che rappresentano la rinascita della fenice da un momento tragico. Inoltre, i due demoni rappresentati indicano anche tutto il periodo che abbiamo affrontato con la pandemia».

Come mai hai deciso di riportare, all’interno del tuo murale, la frase: “come ricordi rimangono le cicatrici restiamo fragili restiamo uniti”?

«La frase è un estratto delle parole dei volontari che sono stati intervistati per il documentario di Federico Baracchi, che è stato girato durante la realizzazione del progetto. Mi avevano colpito alcune parole usate da questi volontari e ho cercato di metterle insieme. Allora ho buttato giù quella frase e l’ho utilizzata come slogan del disegno».

Proprio nel documentario di Federico Baracchi viene chiesto ai volontari: “se il 2020 fosse un colore, quale sarebbe?”. Noi oggi vogliamo chiedere a te: quale colore è per te il 2022?

«Il mio colore è sempre il giallo, sempre in ogni caso, perché penso di essere una persona gialla e non per la “storia” dell’armocromia. Io credo che ogni persona abbia un colore e io mi rivedo nel colore giallo. Penso che ogni persona abbia una matrice di colore e se la porti dietro, dunque per me sarà sempre quello a prescindere».

Al termine di questa breve intervista, abbiamo avuto modo di parlare ancora qualche istante con Seba Mat e ci siamo resi conto che noi ragazzi, spesso, guardiamo alle forme d’arte che sono presenti nella nostra città distrattamente, senza soffermarci e senza pensare a cosa ci sia dietro, a quali e quante storie ci possano raccontare i colori. Oggi lo abbiamo imparato e abbiamo avuto modo di comprendere che la pandemia, seppur in modi diversi, ha segnato la storia di noi come singoli e come collettività.

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