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Un luogo e la sua identità. E’ il nostro sguardo che crea.

Il paesaggio tra mutamenti e continuità

di Renzo Gherardi

Se chiediamo a un carpigiano quali siano le cose che caratterizzano di più la sua città ci troviamo subito a dover precisare. Parliamo del centro storico o dell’intero territorio comunale?

Nel primo caso la risposta è più facile e verrebbero citate le emergenze storico-architettoniche e artistiche: la piazza con palazzo Pio, il lungo portico rinascimentale, il Duomo, S. Nicolò, ecc…

Ma se invece parliamo del territorio la cosa si complica. Intanto e forse perché facciamo subito un paragone implicito con il centro storico, ci sembra che il territorio non si differenzi molto dalle altre realtà padane. Soprattutto il territorio carpigiano negli ultimi decenni è stato soggetto a molti cambiamenti, al punto che per qualcuno è stato stravolto.

Sentiamo allora l’esigenza di approfondire, nel mutare del paesaggio naturale e architettonico, nuovi spazi di appartenenza ad un territorio e alla civiltà contemporanea, oggi poco decifrabili e difficili da amare. Oggi vi è nel paesaggio una sorta di fragilità temporale (ciò che vediamo oggi, lo vedremo fra qualche anno?), ma anche spaziale, nel senso che dobbiamo sedimentare le nuove forme che nascono e i loro rapporti. Il nuovo richiede di essere “visionari di quello che c’è”, condizione che lo scrittore Daniele Del Giudice attribuiva ai fotografi.

Allora occorre uno sguardo che pazientemente cerca di mettere ordine, non gerarchico, nell’apparente caos.

Uno sguardo partecipe ed estraneo allo stesso tempo, che cerca di far emergere forme possibili. Uno sguardo che oggettiva in immagini la realtà, citando fotografi, utilizzando criteri e valori, mediando fra linguaggi diversi (cinema, arti figurative, letteratura).

Tra il centro storico e la campagna vi sono sempre più estese periferie, che per molti non hanno una propria caratterizzazione estetica. Dobbiamo allora considerare che l’espansione edilizia sotto la spinta del boom della maglieria nel secondo dopoguerra sia stato dal punto di vista paesaggistico solo una perdita? Non necessariamente, ma occorre che sia il nostro sguardo, sorretto da criteri estetici, a indicare nuovi valori.

In questa fotografia scattata nella zona di Zappiano, il suolo reso uniforme da una nevicata evidenzia le file prospettiche di un nuovo vigneto e, sullo sfondo, le linee moderne di una nuovissima fabbrica. Si tratta di un’altra zona all’estrema periferia che vede la compresenza del passato rivisitato e del nuovo. Tocca a chi guarda compiere la sintesi.

Un’altra fotografia documenta invece un cambiamento nel paesaggio rurale e riguarda il confine ovest del comune di Carpi con Fabbrico e Rio Saliceto. Si vedono due persone sedute che osservano la Cassa di espansione del Tresinaro, che con il tempo è diventata anche una importante zona umida, oltre che un elemento di sicurezza in caso di piena. E’ un esempio di come il paesaggio di una ampia zona, seppure fuori mano, sia profondamente cambiato per opera dell’uomo.

In un’altra fotografia scattata alla periferia est della città, c’è una fabbrica piuttosto grande appena finita, davanti alla quale spicca un contenitore la cui facciata metallica e lucida rimanda riflessi deformati della campagna, presente ma ricacciata un po’ più in là. La luce è quella di un tramonto in un mese d’inverno, ma è morbida e avvolgente. In alto fra le pareti della fabbrica ed il tetto spunta una porzione di cielo, e sembra quasi artificiale anch’esso.

E’ un tentativo di sintesi di un nuovo paesaggio che sempre più ci si presenta.

E’ una sfida culturale, ma anche sociale quella che abbiamo davanti: saper integrare il nuovo con gli elementi della tradizione che abbiamo ormai assimilato. In fondo una delle vie più note e affollate del centro storico, corso Alberto Pio, non è il frutto di architetture di secoli diversi, fino agli ultimi interventi?

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